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VOLUME XIV
ANNO 2006
N 3
Indice
Editoriale

Paolo francesco Peloso


TRA PRASSI E TEORIA


Discontrollo delle emozini e comportamenti violenti

Tulli Bandini,Pierluigi Randi


Terapia di regolazione emozionale con pazienti psicotici inseriti in programmi semiresidenziali.

Dario Lamonaca, Ileana Boggian, Laura Barbieri


Il video in Arteterapia

Sergio Schenone


APPUNTI DI VIAGGIO


Quello che ho imparato a Redalloggio

Roberta Antonello
 



Editoriale


Rientro dalle ferie e dalla posta sporge un piccolo mazzo di riviste; ne avrò per qualche settimana, mi viene da pensare. Apro la prima, e un titolo, perentorio, mi colpisce: “Perché bisogna riformare le disposizioni sulla salute mentale (“Legge 180”) in Italia” (Giornale italiano di psicopatologia, 12, 2, 151-163). Già, perché? Il primo pensiero che mi viene in mente è, lo confesso: “che noia, ci risiamo!”. Una breve nota chiarisce il contesto in cui le certezze dei prof.ri Bruno e Gaiti, dell’Università “La Sapienza” di Roma, sono maturate: l’indagine conoscitiva affrettata promossa in Parlamento sul finire della scorsa legislatura. Tuttavia vince la curiosità, e comincio a leggere imbattendomi nella riesumazione di fraintendimenti e argomenti pretestuosi: il preteso carattere ideologico (?!) della pratica antiistituzionale e dell’impostazione basagliana - confusa in uno strano guazzabuglio con l’antipsichiatria inglese e niente di meno che con la “Lettera ai primari dei manicomi”, apparsa collettiva su “La revolution surrealiste” del 1925 (ma qui attribuita al solo Artaud) - l’impostazione soprattutto abolizionista della legge, la sorprendente scoperta che “la malattia mentale non è solo il risultato di una contraddizione sociale, ma è anche il prodotto di fattori biologici, psicologici e ambientali" i quali, chissà poi perché, con buona pace di Zapparoli e del suo trattamento integrato, dovrebbero, secondo l’articolo, essere curati “ciascuno per sé”.

Ma vediamo più precisamente quali sono, oggi, le ragioni per le quali la riforma andrebbe riformata. In primo luogo, l’essersi “concentrata prevalentemente sul malato grave”; ma, in questo caso, dovrebbe essere riformata l’intera medicina, fin dai tempi di Ippocrate, a partire dalla pneumologia che si occupa colpevolmente molto più delle polmoniti, che riguardano un numero esiguo di persone, che dei raffreddori. Si afferma poi che programmi e trattamenti sono episodici, discontinui, coprono solo “una frazione della domanda dei pazienti”, i quali verserebbero in una condizione di sostanziale abbandono: ma, ammesso che ciò sia vero, e vero ovunque, non mi pare che sia prescritto per legge. Ad essere riformate, perciò, dovrebbero essere – oserei opinare - semmai le pratiche e l’insegnamento della psichiatria, più che la normativa. Apprendiamo poi che secondo - crediamo - intuizioni più che dati, il 10% dei malati non sa di “soffrire di una patologia mentale” (una percentuale evidentemente a giudizio degli scriventi assoluta, indipendente dallo stile e dalle modalità di presa in carico): di qui la necessità di rivedere il delicato equilibrio che il legislatore - la sensibilità politica di Bruno Orsini, con Giovanni Berlinguer e Tina Anselmi - ha individuato nel 1978 a proposito di ASO e TSO, come se esso non nascesse proprio dall’esigenza di rispondere alle necessità di quella percentuale, quale che sia, di cittadini. Assistenza psichiatrica intracarceraria e OPG sono, questa volta giustamente invece, evidenziati come aree nelle quali riflessione del legislatore e formazione sono carenti: ma il piccolo miracolo del convegno voluto e realizzato a Luglio da Elvezio Pirfo dentro il carcere di Torino mi fa pensare che, grazie alla prospettiva che la 180 ha aperto e non certo contro di essa, anche in questo campo serietà e determinazione possono essere premiate. Percorsi di inserimento lavorativo, attenzione per i disturbi mentali dell’infanzia, adolescenza, anziani, tossicodipendenza e alcoolismo, livelli di integrazione tra i Servizi e tra questi e l’Università, supporto alle famiglie paiono carenti agli estensori dell’articolo, e si può essere d’accordo, ma non mi paiono neppure questi vietati dalla legge. Vengono quindi individuati una serie di obiettivi - da demandare, per la realizzazione, guarda caso alle Regioni (un’idea originale!) – per lo più condivisibili, ma del tutto compatibili, anch’essi, con l’attuale quadro normativo. Perché, allora, dobbiamo essere accolti all’uscita dal riposo estivo dalla perentoria affermazione dei prof.ri Bruno e Gaiti? Forse perché un paziente psichiatrico è tale per la vita, e se diventa anziano non ha diritto, in nessun caso, di stare “sotto mentite spoglie” all’interno dei programmi attraverso i quali gli anziani ricevono assistenza. O perché alla chiusura degli ospedali psichiatrici è corrisposto il raddoppio del numero dei detenuti, e “post hoc”, è automaticamente “propter hoc”. Anche se l’incremento riguarda in gran parte soggetti extracomunitari, che spero i prof.ri Bruno e Gaiti non invierebbero tutti in manicomio, se aperto, e sono semmai vittima di un’intolleranza del diverso che la cultura della 180 potrebbe contrastare, se non fosse costante oggetto di attacchi. E anche se la carcerizzazione incide su una fascia di età più bassa di quella che era assistita dagli OP, e in gran parte su tossicodipendenti per i quali il manicomio non sarebbe stato comunque una risposta. O se, ancora, i disturbi psichiatrici dei detenuti, certo numerosi ancorché registrati in modo assai approssimativo, possono essere, e sono nella mia esperienza, più spesso conseguenza che causa della detenzione.

Come spesso avviene quando gli argomenti non sostengono, l’articolo passa dal tono della critica, discutibile ma civile, all’invettiva, che con un uso strumentale delle statistiche criminali colpisce i pazienti psichiatrici italiani con un irresponsabile e anacronistico stigma. E in una brusca accelerazione finale l’acrimonia raggiunge l’insulto, verso i pazienti psichiatrici, i loro psichiatri clinici (vittima in particolare l’amico Luigi Benevelli, al quale va tutta la mia stima e solidarietà) e la loro legge “anomica, antiscientifica, oscurantista, liberticida, dannosa”. E “assassina”.

Che si scomodino, piuttosto, i prof.ri Bruno e Gaiti, e vengano a trovarci nei luoghi della clinica: non incontreranno, nei nostri centri diurni, nelle strutture dove i pazienti abitano un periodo della propria vita, nei centri di salute mentale e reparti ospedalieri, nelle loro case, nel “famoso territorio” sul quale spocchiosamente ironizzano e nel quale dà loro tanto fastidio che i pazienti psichiatrici abitino e si curino, le persone che “manifestano assai tristi segnali della loro presenza", che immaginano dal chiuso dei loro studi e dal clima irreale e melenso dei programmi televisivi che assiduamente frequentano. Scopriranno invece il fascino dello stare insieme a queste persone, vederle da molto vicino, quell’esperienza di essere insieme ed essere insieme proprio nel territorio, di cui all’insegnamento di Franco Basaglia e alla nostra legge 180 siamo tanto debitori; insieme a lavorare, dentro e fuori la clinica e la riabilitazione, avendo in testa la prospettiva dell’autoaiuto del quale scrive, in un articolo di rara franchezza e onestà, Roberta Antonello (chissà cosa ne direbbe il prof. Bruno, di quest’operatore in crisi sulla propria identità e funzione!! Sarà forse anche questo colpa della 180).

Ma, per fortuna, il Giornale italiano di psicopatologia non era solo nella mia buca postale. C’era dell’altro, e mi ha ulteriormente corroborato nella certezza che non bisogna affatto riformare la 180. C’era infatti l’ultimo numero di Psichiatria oggi (XIX, 1, 2006), la bella rivista della SIP lombarda che la cortesia dell’amico Alberto Giannelli mi mette sempre a disposizione, sul quale professionisti seri, duramente colpiti di recente nella morte - proprio nell’esercizio della psichiatria nel territorio - di uno di loro, si interrogano con responsabilità ed equilibrio sui nodi del rapporto tra malattia mentale, violenza, presa in carico, responsabilità penale. C’era quello di Psichiatria generale dell’età evolutiva (43, 1-2, 2006), la bella rivista dei colleghi veneti, inviatomi da Ludovico Cappellari e dedicato agli studi psicopatologici di Arthur Tatossian, ma anche al distrurbo borderline di personalità, che con molti problemi demagogicamente agitati da Bruno e Gaiti ha certo a che fare, ma viene qui affrontato con impegno scientifico e serietà, nella ricerca di soluzioni sul duplice piano della comprensione e dell’intervento clinico.

E c’erano le bozze di questo numero de Il vaso di Pandora, del quale mi ero impegnato a redigere l’editoriale. Uno dei maestri della nostra psichiatria forense, Tullio Bandini, vi si occupa con il giovane collega Pierluigi Randi del rapporto tra impulsività e violenza, e dimostra nel farlo come il dialogo tra psichiatria clinica e forense possa essere proficuo quando si fonda sul rispetto dell’una per il faticoso lavoro, e il diverso campo d’intervento, dell’altra. Roberta Antonello, che sento il bisogno di ringraziare per affidarci “cose sue”, s’interroga, come accennavo, sull’identità e la funzione di chi cura nel delicato momento in cui un gruppo di pazienti dei quali - in un rapporto forse poco chiaro con il resto dell’équipe - si è occupata, passa da un alloggio protetto psichiatrico a pratiche di autoaiuto. E sul cambiamento che avverte in sé del modo di ascoltare e della tolleranza, via via che si sposta dalla posizione del curare che distingue chi cura e chi viene curato, a un posizione paritaria dentro il gruppo. Roberta ha probabilmente ragione: oltre un certo limite, tenere insieme questa duplice identità non è possibile. Ma ci parla anche di ciascuno di noi, che a questa duplicità è comunque, almeno in qualche misura, condannato perché esercita questa funzione complessa, contraddittoria, irresolibilmente dialettica che è la cura: ciascuno di noi che partecipa, nel curare, a un incontro tra un operatore e un paziente che è anche, sempre, un incontro paritetico tra due persone (e quanti strumenti preziosi, a questo proposito, la riflessione fenomenologica di Franco Basaglia può metterci a disposizione). Accanto a questo percorso, collocato nell’intimità di una persona e nella difficoltà a essere condiviso nell’équipe, stanno le testimonianze maturate in tre setting riabilitativi eterogenei (setting – verrebbe da pensare - illegali, in quanto pare a qualcuno che la 180, così com’è, ne impedisca la realizzazione). Sergio Schenone ci parla dell’uso del video come strumento di mediazione nel lavoro con gruppi di disabili adulti e con bambini. Dario Lamonaca, con le colleghe Boggian e Barbieri, ritorna ad arricchire la nostra rivista riferendo esperienze realizzate presso il Centro diurno “Il tulipano” di Legnano (VR), una delle realtà più interessanti nel panorama nazionale dei Centri diurni per ricchezza e documentazione delle pratiche di cura. Si tratta, in questo caso, di interventi di regolazione emozionale, strumenti di lavoro volti alla gestione, tra l’altro, della rabbia che spesso prelude alla violenza; e l’onesta fatica di questi operatori nel perseguire e documentare i propri risultati dimostra come la risposta, anche, alla domanda di sicurezza di cui siamo giustamente oggetto, stia nelle buone pratiche cliniche molto più che nelle cattive riforme legislative. Termino con Claudia Masala, che riferisce del suo lavoro con Marinella Guglielmi e Maria Caviglia presso il nostro centro diurno. Mi piace ricordare come ci siamo avvicinati all’IPT: sforzandoci di porre al centro non ciò che ci piace maggiormente, ciò per cui meglio eravamo formati o che credevamo, sulla base di appartenenze di ideologia o di scuola, più efficace, ma ciò che rispondeva ai bisogni ai quali il lavoro ci poneva di fronte. E in questo caso si trattava di grossolani deficit cognitivi e comunicativi evidenziatisi, con nostra sorpresa, durante un corso di psicoeducazione. Di queste tre colleghe capaci, entusiaste e oneste nel lavoro, che ho il privilegio di apprezzare direttamente, ho sempre ammirato coerenza, continuità e costanza nel portare avanti il progetto, nonostante il clima spesso caotico e discontinuo che caratterizza la nostra esperienza complessiva non le abbia talvolta aiutate. La “ginnastica mentale” ha rappresentato per il Centro un appuntamento fisso, ed esse sono state capaci di far proprio uno strumento di provata efficacia, l’IPT, e adattarlo a un contesto urbano e numeroso, dove discontinuità e pratiche di deistituzionalizzazione sono un ingrediente irrinunciabile della cura: ne è nato quell’”originale modello” che Claudia qui simpaticamente ci espone. Bisogna ritornare a discutere, dunque, quest’autunno, di come riformare le disposizioni sulla salute mentale della 180, come i prof.ri Bruno e Gaiti asseriscono sul Giornale Italiano di Psicopatologia? Ci dispiace: abbiamo da occuparci di cose molto più utili e urgenti.


Paolo Peloso



Discontrollo delle emozioni e comportamenti violenti


Tulli Bandini: DIMEL – Dip.to di Medicina Legale, del Lavoro, Psicologia Medica e Criminologia, Sez. di Criminologia e Psichiatria Forense, Facoltà di Medicina e Chirurgia, UNIGE.


 Pierluigi Randi:SPDC (Servizio psichiatrico di diagnosi e cura), Ospedale S.Maria delle Stelle, Presidio Ospedaliero di Melzo (MI), ASL MILANO 2


RIASSUNTO


Gli Autori propongono alcune riflessioni circa i rapporti intercorrenti tra la messa in atto di comportamenti violenti estremi e “malattie” della volontà. Partendo da contributi clinici e medico legali dell’‘800 e d’inizio ‘900, viene tratteggiato come alcune categorie diagnostiche, quali la Monomania e la Follia morale, siano state spesso confuse e sovrapposte, sia per fini clinico diagnostici che medico legali.E’ discusso l’attuale inquadramento del Disturbo esplosivo intermittente nei recenti manuali diagnostici psichiatrici e viene analizzato il problema dell’imputabilità dell’autore di reati improvvisi e immotivati.


ABSTRACT


The authors have made some remarks with regards to the relationships which exist between the setting up of extreme violent behaviour and “self-willed” illness.Starting from clinical and legal-medical contributions from the 18 century and the beginning of the 19 century, it has been discussed how some diagnostic categories, such as Monomania and Moral insanity have often been confused and overlapped for clinical diagnostic and legal-medical purposes.The current set of intermittent explosive illness, has been discussed in the recent psychiatric diagnostic manuals and the problem of the imputability of the author regarding sudden and unmotivated crimes have been analysed.




Terapia Psicologica Intergrata ovvero la "Ginnastica della mente" al centro Diurno di Sestri Ponente


Claudia Masala: Tecnico della riabilitazione psichiatrica, Progetto “Sostegno all’abitare”, Cooperativa “La Redancia

(Il presente lavoro nasce da una collaborazione con il Centro Diurno di via Sestri del DSM dell’ASL 3 “Genovese”, con i suoi operatori e i pazienti che lo frequentano, che ringrazio tutti, con particolare riferimento a Marinella Guglielmi e Marina Caviglia, mie compagne d’avventura.)



RIASSUNTO


Numerosi studi, negli ultimi decenni, hanno dimostrato come i soggetti schizofrenici presentino deficit neuropsicologici che impediscono una normale messa in atto di funzioni psicosociali: attenzione selettiva, vigilanza, memoria e apprendimento ne costituiscono alcuni esempi. Il modello stress-vulnerability-protective factors spiega l’insorgenza, il decorso e l’esito dei sintomi e del funzionamento sociale come un’interazione complessa tra fattori biologici, ambientali e comportamentali e si fonda sul presupposto che alla base dei disturbi mentali vi sia una diatesi biologica o comportamentale che provoca lo scatenarsi di sintomi psichiatrici nel momento in cui gli stressors sopraffanno le competenze e le strategie di coping dell’individuo. Il lavoro di Brenner e coll. nello sviluppare e testare un programma strutturato di terapia cognitivo-comportamentale per pazienti schizofrenici è andato avanti, per passi successivi, nell’ultimo decennio e associando specifici sottoprogrammi di training cognitivi e sociali ai deficit cognitivi e sociali ha fornito metodi riabilitativi e portato nuovo entusiasmo agli operatori ed ai ricercatori, soprattutto tra coloro che ritenevano la sola farmacoterapia inadeguata ad affrontare i complessi bisogni dei pazienti schizofrenici. La Terapia Psicologica Integrata è un programma di intervento strutturato che prevede una serie di steps per il recupero delle disfunzioni cognitive e comportamentali che sono caratteristiche della psicopatologia degli schizofrenici. L’IPT è organizzato gerarchicamente in cinque sottoprogrammi, finalizzati allo sviluppo delle seguenti abilità: differenziazione cognitiva, percezione sociale, comunicazione verbale, abilità sociali, soluzione dei problemi interpersonali. La nostra esperienza prende le mosse dal modello originale di Brenner e colleghi, discostandosene tuttavia in quello che, con gioco di parole si può considerare un “modello originale”, ribattezzato familiarmente “Ginnastica Mentale”, imbevuto della speciale atmosfera empatica che i membri del Centro Diurno contribuiscono a creare.

ABSTRACT


In the last ten years, cognitive psychologists have identified several specific dysfunctions in the information processing by persons suffering from schizophrenia: selective attention, vigilance, memory, learning, as some of theme, and they hypothesized that when socioenvironmental stressors, demands, and task requirements exceed the available information processing capacity of a person with these vulnerability factors, psychotic symptoms may develop and performance in life roles may be seriously compromised. The work of Brenner and colleagues in developing and testing a hierarchical program of cognitive-behavioral therapy for schizophrenic patients, such as Integrated Psychological Therapy, has proceeded through several stages during the past decade. Integrated Psychological Therapy (IPT) comprises five subprograms (Cognitive Differentiation, Social Perception, Verbal Communication, Social Skills, Interpersonal Problem Solving)designed to ameliorate cognitive dysfunctions and social behavioural deficits characteristic of schizophrenia. In our experience we have moved away from the original model, to create a new model imbued of the empathic atmosphere of the centre.




Intervento di regolazione emozionale con pazienti psocotici inseriti in programmi semiresidenziali



Dario Lamonaca , Ileana Boggian , Laura Barbieri

CSM – Centro Diurno “ Il Tulipano “ , AULSS 21 Legnago , VR



RIASSUNTO

Obiettivi: valutare l’efficacia di un intervento di regolazione emozionale centrato sul riconoscimento ed autoregolazione delle emozioni con pazienti schizofrenici che frequentano il Centro Diurno.

Metodo: si è eseguito uno studio semi-sperimentale di tipo ABA, considerando gli esiti nella sintomatologia, nel funzionamento sociale e nelle funzioni cognitive valutati prima e dopo il training. L’intervento è stato effettuato in 30 incontri bisettimanali per una durata complessiva di quattro mesi condotti da due psicologhe.

Risultati: L’analisi statistica non parametrica effettuata con il Test di Wilcoxon ha evidenziato un miglioramento significativo per i sintomi positivi, negativi e nel punteggio totale della scala Panss, una riduzione significativa degli errori al WCST, un miglioramento significativo nel nel punteggio totale al Test di attribuzione delle emozioni e in particolare dell’emozione negativa “rabbia”.

Conclusioni: l’esperienza condotta sottolinea l’importanza di interventi integrati volti a ridurre i deficit cognitivi e a facilitare l’apprendimento di strategie di gestione emotiva più funzionali.



Parole chiave: training di regolazione emozionale, funzioni cognitive, funzionamento sociale.




ABSTRACT

Aims: to evaluate the effectiveness of an Emotion Regulation Training programme. The training is based on the recognition and self-control of emotions in schizophrenic patients that attend the Daily Centre.

Method: we have performed a quasi-experimental study (ABA) to analyse the impact of the training on symptoms, social functioning and cognitive aspects. This has been done by comparing symptoms, social functioning and cognitive aspects before and after the training. The program was implemented through 30 meetings (held twice a week) over four months. The meetings were led by two psychologists.

Results: the non parametric statistic analysis (based on the Wilcoxon test results) have shown a significant improvement of positive, negative and total symptomatology, a significant reduction of WCST errors, and a significant improvement of the emotion attribution test total score.

Conclusions: the training we carried out highlights the importance of integrated training programmes designed to reduce cognitive deficits and to facilitate learning of more efficient emotions management strategies



Key Words: Emotion Regulation Training, cognitive functions, social functioning, symptoms.





Il video in Arteterapia

 Introduzione al suo utilizzo con bambini e preadolescenti 

di Sergio Schenone



RIASSUNTO



In questo lavoro, vengono descritte le potenzialità riabilitative e terapeutiche dell’utilizzo del video nell’ambito dell’Arteterapia, con bambini e preadolescenti. Tale mezzo viene impiegato non solo come possibilità per documentare un percorso individuale o di gruppo ma anche come risorsa espressiva da aggiungere alle tradizionali tecniche artistiche. Il video diviene quindi parte attiva del processo terapeutico, permettendo al bambino di osservare/osservarsi attraverso uno strumento che media il suo rapporto con la realtà, arricchendolo di punti di vista inaspettati. Attraverso il montaggio video dei momenti più significativi dell’intero percorso, il conduttore può “restituire” l’intera esperienza concretizzando in immagini un delicato momento di passaggio, valorizzando le risorse del bambino.



ABSTRACT



This work describes the rehabilitative and therapeutic capabilities of using video in Art Therapy with children and teenagers. This tool is not only used as a means of documenting an individual or a group pathway, but is also an expressive resource to complement traditional artistic techniques. Video becomes an active part of the therapeutic process, thus letting children explore the external world and observe themselves through an instrument that mediates their relationship with reality, enriching it with unexpected points of view. Through the video editing of the most relevant episodes of the entire process, the leader may restore the whole experience. Therefore, he can reproduce by images a delicate transition period, thus enriching children's resources.

 


Il Vaso di Pandora, Dialoghi in psichiatria e scienze umane
Edizioni La Redancia -
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Iscrizione al Tribunale di Savona n. 418/93 - ISSN 1828-3748