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VOLUME XX
ANNO 2012
N 1
Indice
IL VASO DI PANDORA
Dialoghi in psichiatria e scienze umane - Vol. XX, N°1, 2012


Sommario
Editoriale
Paolo Rossi
pag. 7

TRA PRASSI E TEORIA

Madre-patria: più madre o più patria?
Giovanni Del Puente
pag. 15

APPUNTI DI VIAGGIO
Vite sul filo: contratto di cura e istituzioni alle prese
col Disturbo di Personalità.
Michele Solari
pag. 31

“Non è bene che l’uomo sia solo”. Autismo e tentativi di uscita
Laura Pasero
pag. 57

QUATTRO PASSI PER STRADA
Recensione: “Luoghi comuni e Comunità. Convinzioni irrealistiche,
miti, pregiudizi sul lavoro psichiatrico e comunitario“
Di Giandomenico Montinari
Giovanni Folco
pag. 75
Editoriale


La lettura degli articoli presentati in questo numero suscita immediatamente una riflessione sul metodo di approccio alle diverse tematiche affrontate ed in particolare su un comune denominatore che rende organica la raccolta dei lavori dei tre autori. Mi riferisco ad una particolare prospettiva di sottolineatura tematica che risulta plasticamente cangiante e ad una modalità descrittiva che a tratti diventa speculare nel porsi dinnanzi al problema e che permettono, nella fattispecie, di vedere l’emigrante dentro l’immigrato; i bisogni del paziente sottoposto a psicoterapia residenziale dietro i vari modelli preconfezionati di applicazione teorica; il catastrofico dolore della solitudine sotto il ritiro autistico.
Pur nella diversità dei temi trattati e dello stile narrativo proposto, ogni autore pone infatti l’accento su riflessioni che in qualche modo mirano a spostare il punto di vista rispetto a come normalmente siamo abituati a leggere nella letteratura specifica e a condurre il lettore in una dimensione di ascolto antistante, non parziale né neutrale, ma liberamente osservante che fa dell’integrazione delle varie posizioni la propria impostazione generale.
La riflessione principale e l’interesse di questo numero della rivista nascono quindi proprio dalla capacità degli autori di compiere un’efficace sintesi della complessità dei sistemi e di stimolare ad entrare dinamicamente nel dibattito, senza preconcetti di scuola od orientamento, focalizzando la propria attenzione sul vero protagonista di questo numero della rivista: il paziente, con la sua storia unica ed i suoi bisogni specifici.
Entrando nel dettaglio, il lavoro di Del Puente si inserisce in un argomento già ampiamente dibattuto su questa rivista anche nel recente passato, cioè l’etnopsichiatria, ma partendo dall’analisi della condizione di colui che emigra e prendendo spunto dalla dimensione concreta del concetto “terra madre” indissolubilmente incatenato all’immagine che ci facciamo dell’immigrato, per suggerirci quanto l’intensità dell’attaccamento possa avere un peso fondamentale nel processo dell’immigrazione. Fa riflettere come dietro al concetto di nostalgia si presupponga spesso un irrisolto legame con una condizione precedente, mentre la verità è che la nostalgia rappresenta un sentimento, benché doloroso, già evoluto, espressione di un processo di separazione avvenuto e completato. La patologia connessa allo stato di immigrato/emigrato non si manifesta quindi con la nostalgia, ma con una serie di sintomi correlati alla difficoltà di inserimento nella nuova società (immigrato) e all’impossibilità di sviluppare la sensazione dolorosa della nostalgia (emigrato). Ed è in questa prospettiva che si inserisce la suddetta connotazione dell’emigrato, di colui cioè che ancora non è immigrato, che ancora non è riuscito ad elaborare una separazione compiuta dalla propria terra, simbolicamente dalla protezione materna. E' allora che ci si pone il quesito se in questo senso non possa esserci una correlazione nella fenomenologia del disturbo psichico, a seconda che le difficoltà incontrate si riferiscano alla fase dell’emigrazione o a quella dell’immigrazione, peraltro intrinsecamente connesse tra loro.
Solari, nell’affrontare l’interessante tema della psicoterapia residenziale, utilizza una tecnica particolarmente azzeccata che permette di ascoltare le diverse voci, interne ed esterne, roboanti e silenziose, in uno stile narrativo col quale la descrizione clinica del caso in esame viene costruita mediante una specie di montaggio cinematografico, attraverso la sovrapposizione di sensazioni, frammenti di vita quotidiana, pensieri e vissuti evocati da una costellazione di immagini provenienti dalla mente del paziente e da quella simbolica del gruppo di lavoro e che consente un’immersione vivida nella complessità, nella specificità e nell’unicità dell’esperienza personale, al di là delle categorie diagnostiche e dei modelli teorici, ma soprattutto capace di offrire l’idea costruttiva e convincente di un capovolgimento metodologico in base al quale non è il modello teorico a fare da guida, bensì è il paziente, con i suoi bisogni ed i suoi agiti, ovvero col suo linguaggio, a stimolare il pensiero dei curanti, attraverso un faticoso processo di fratture e ricomposizioni, al fine di adattare i presupposti teorici di riferimento all’obiettivo della cura. In tal senso si inseriscono i presupposti che consentono di integrare strategie tra di loro differenti, dalla contrattazione al case management, dalla co-terapia allo skills training, all’intervento sulla famiglia, nel raggiungimento dell’obiettivo terapeutico. Ne scaturisce la necessità di conoscere e saper maneggiare differenti metodologie di intervento, di renderle elastiche, o meglio sarebbe dire, plastiche, in grado di adattarsi ai bisogni e alle specificità del paziente per costruire un percorso di cura possibile, tollerando la mancanza di un protettivo ma spesso asfittico unico modello di riferimento.
All’interno di una discussione molto attuale nel mondo scientifico e anche in quello dell’informazione divulgativa si inserisce l’interessante lavoro di Pasero sul trattamento in psicoterapia psicoanalitica del Disturbo Autistico.
Prendendo spunto da un caso clinico e dopo aver inquadrato il tema con un excursus storico, dagli albori agli attuali orientamenti, nella cura di situazioni specifiche, l’autrice riporta alcune considerazioni sulla ricchezza e sulla complessità del mondo interno di un adolescente autistico per spiegare come un trattamento psicoanaliticamente orientato può riuscire a restituire un senso ad una vicenda umana che apparentemente si mostra inabile a possedere cittadinanza nel mondo delle relazioni interpersonali.
Trovo particolarmente interessante la trattazione di temi quali l’attesa, il bisogno di equilibrio e il senso di solitudine in forma di suggerimenti e insegnamenti evocati proprio da chi non mostra di possedere la capacità di attesa e di posticipazione, da chi non sembra dotato delle risorse strutturali che consentono di mantenere una posizione equidistante dagli eventi emotivi e ancora, da chi, non esprimendo il desiderio di entrare in relazione, sembrerebbe immune dal vivere sentimenti di solitudine.
Con questo cambio di prospettiva, invece, tutto torna ad avere un senso, ruotando intorno al punto cruciale dello strumento psicoanalitico nella relazione terapeutica con il paziente autistico, relazione nella quale la strada da percorrere è segnata dal dubbio, dal rischio di fermarsi di fronte al timore di un agito e nella quale gli strumenti utilizzati partono dall’esperienza controtransferale, unica ed esclusiva, di chi ha fatto della propria capacità di vedere l’altro in se stesso e se stesso nell’altro il proprio strumento di lavoro.
Mi pare ovvia la stretta attualità della discussione: proprio recentemente la psicoanalisi è stata oggetto di nuove critiche riguardo la sua efficacia e la sua interminabile durata, provocando dall'altra parte l'arroccamento in una posizione ancora più chiusa. Oltre ad apparire sterile e ripetitivo, questo dibattito sembra anche scarsamente utile. Alcuni temi introdotti dalla psicoanalisi, sebbene forse non ancora dimostrabili secondo i necessariamente rigidi criteri scientifici, risultano evidenti a prescindere dalla validazione scientifica e comunque la non annessione non può comportarne la delegittimazione. Altrimenti dovremmo pensare che le mele hanno cominciato a cadere dagli alberi solo dopo la spiegazione di Newton, mentre è certo che i contadini lo sapessero già molto tempo prima.
Infine, per la rubrica “Quattro passi per strada”, Folco recensisce il testo di Montinari “Luoghi comuni e Comunità”. Argomento complesso, nonché difficile da trattare dovendo cercare di mostrare sincreticamente lo stato dell’arte dei vari trattamenti possibili in ambito residenziale, considerando la vasta eterogeneità delle strutture esistenti, ma del quale - spiega Folco – l'autore contribuisce a rinforzare alcuni punti di riferimento sulla base di un’esperienza pluriennale in questo campo.
E’ il tema della centralità del lavoro del gruppo, di come da questo nascano riflessioni capaci di dare un nome ai sintomi e creare una prospettiva di autoriflessione come elemento primo del procedere nel percorso verso la cura. La necessità di “pensare l’intervento” anche in termini strutturali e coinvolgendo le reti esterne, di considerare l’esperienza diretta e la realtà fattuale e soprattutto di centrare l’importanza fondamentale della comunicazione, nelle sue più diverse accezioni, nell’ambito del percorso terapeutico-riabilitativo rende efficace il tentativo che Montinari compie nel restituire chiarezza e punti di riferimento importanti a chi opera nel trattamento residenziale di comunità.


Buona lettura

Paolo Rossi






Giovanni Del Puente*



Madre-patria: più madre o più patria?





RIASSUNTO


Non può esserci una valida immigrazione se non c’è stata a monte una adeguata emigrazione. Per riuscire a lasciare la propria patria e per potersi integrare in quella nuova occorre possedere un protettivo codice materno ma soprattutto aver introiettato un rassicurante e normativo codice paterno. Un uomo ecuadoriano, immigrato in Italia, vive tutto il dramma di questo passaggio, vivendo non tanto la nostalgia quanto la sensazione dolorosa di due parti di sé che sono distaccate e non riescono a congiungersi.




PAROLE CHIAVE


Emigrazione – Immigrazione - Madre - Nostalgia - Dolore








* Ricercatore in Psichiatria, Università di Genova








Michele Solari*



Vite sul filo: contratto di cura e istituzioni alle prese col Disturbo di Personalità




RIASSUNTO

Partendo da una situazione clinica, vengono delineate le linee fondamentali del trattamento istituzionale integrato dei Disturbi di Personalità. Fra di esse l’interesse è concentrato su un modello di co-terapia in cui due terapeuti, seguendo due approcci teorici diversi, offrono al paziente una coppia terapeutica in grado di sollecitare, ma al contempo sorvegliare e contenere reazioni transferali che nel dispositivo di cura trovano una possibilità di rappresentazione. Il percorso della Paziente mette inoltre in rilievo l’efficacia di altre modalità integrate di intervento come il social skill training e il sostegno alla famiglia.


 


PAROLE CHIAVE


Trattamento Istituzionale Integrato, Rete Operativa, Disturbi della Personalità, Contrattazione, Co-Terapia, Funzione.











* Direttore Sanitario C.T. Redancia 1, Sassello (SV) e Direttore Clinico Villa Caterina, Genova-Voltri





Laura Pasero*



 “Non è bene che l’uomo sia solo”. Autismo e tentativi di uscita





RIASSUNTO


Partendo da una situazione clinica, l’articolo  intende mostrare la ricchezza e la mobilità del mondo  interno di un adolescente con  autismo.


Il processo terapeutico descritto si caratterizza per il progressivo destrutturarsi delle difese arcaiche: il paziente inizia ad emergere  dal “congelamento” autistico e ad esprimere il desiderio di nuove esperienze relazionali.


Questo sviluppo  rappresenta  tuttavia un passaggio pieno di  angoscia   fra ricerca dell’oggetto, paura della delusione e tentazione di fuga dal dolore mentale.


 


PAROLE CHIAVE



Autismo, Psicoterapia psicoanalitica, Difese autistiche, Esperienza  emozionale.






* Psicologa Psicoterapeuta, Dipartimento Attività Distrettuali e Cure Primarie,  Asl2 Savonese.














Il Vaso di Pandora, Dialoghi in psichiatria e scienze umane
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