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VOLUME XIX
ANNO 2011
N 4
Indice
IL VASO DI PANDORA
Dialoghi in psichiatria e scienze umane - Vol. XIX, N°4, 2011


Sommario
Editoriale
Milena Meistro
pag. 7

TRA PRASSI E TEORIA
4 Way Street: le matrici epocali dell’Etnopsichiatria
Salvatore Inglese
pag. 13

APPUNTI DI VIAGGIO
La trasmissione del trauma: il caso dei sopravvissuti della Shoah
Manuela Calabrese, Gabriele Profita
pag. 47

Con l’altro, in poche parole: un lessico per l’accoglienza a venire
Chiara Matteini, Giuseppe Cardamone, Salvatore Inglese
pag. 71

QUATTRO PASSI PER STRADA
Recensione:
“A qualcuno piace uguale“
Di Simona Argentieri
Rossella Valdrè
pag. 89

Editoriale


La fitta interconnessione dei mondi che si dispiega nell’epoca contemporanea, connota, secondo Inglese, il discorso sull’etnopsichiatria di un’accezione ormai planetaria, in cui il disturbo mentale dovrebbe essere riconsiderato non solo come espressione di fenomeniche cliniche (sindromi) dei molteplici mondi culturali, bensì come espressione di modi di sentire differenti, che implicano comparazione ed integrazione tra i dispositivi clinici (ossia le terapie) più esplicative dei fenomeni della nuova “psicopatologia ricombinante”.


Si possono percorrere quattro vie “sorgenti” che, all’interno di un’epoca data e per mezzo di peculiari epoché metodologiche, delineano le matrici di sviluppo dell’etnopsichiatria con l’intento di disegnare le stanze di una possibile casa comune di questa disciplina.


- L’istanza Kraepelin si fonda su una postura reificante per cui l’osservazione clinica riduce il fenomeno soggettivo a cosa oggettiva, indipendente dall’osservatore, costituita da sintomi ordinati in sindromi (a forma nota) in attesa di essere sistemate come malattie (a causa nota).


- L’istanza Freud, a sua volta reificante, ma rispetto all’oggettiva esistenza di un apparato psichico indifferenziato che può essere compreso dall’apparato dell’analista, altrettanto indifferenziato, attraverso un dispositivo di interazione ad hoc.


- L’istanza di Devereux ricerca nella Cultura il corridoio per esplorare l’inconscio etnico, porzione differenziata dell’inconscio generale e determinante il comportamento patologico.


- L’istanza Nathan si appella al principio vitale della persona, corrispondente alla sua costituzione psichica, che può correttamente funzionare grazie al legame con la propria matrice culturale. La postura di questa istanza ascolta le voci del mondo cui il paziente appartiene per individuare ed utilizzare le modalità culturali che creano e curano il disagio mentale.


L’evento migratorio produce quindi la deterritorializzazione dei flussi psicopatologici, evento questo che genera una pervasiva irrisolvenza ed irriducibilità del fenomeno psicopatologico alla nosologia tradizionale ed un innesto delle modalità patologiche provenienti dai mondi migranti nei gruppi adottivi.


È imprescindibile qui il rimando alle Culture-bound Syndromes (Inglese, 2010c), per le quali in ogni gruppo umano l’ordinamento nosologico è ispirato alla tipica visione del mondo, del male e della malattia. Tali sindromi risultano poi propriamente ordinate, ossia prescritte, dalle culture che orientano sia i modi specifici di ammalarsi che le modalità terapeutiche elettive di cura.


Si assiste quindi, dai quadri stabili delle sindromi culturalmente ordinate (CBS), in un’ulteriore progressione temporale dovuta alla globalizzazione ed all’eccezionalità del quadro sociale, ad una ricombinazione psicopatologica che destabilizza la nosologia tradizionale in cui frammenti di sintomi e porzioni sindromiche si ricompongono per delineare disturbi non ripartibili in categorie convalidate.


Tale panorama teorico scaturisce dall’evento concreto del fenomeno migratorio che a sua volta presuppone, nel momento (quasi) immediatamente successivo ad esso, la necessità di provvedere ad una costruzione concettuale volta all’accoglienza, non solo prettamente fisica, di coloro i quali la demandano.


Ed è attraverso una mappa concettuale, i cui nodi da virtuali divengono vere e proprie parole-chiave di un lessico per l’accoglienza, che lo scritto di Matteini, Cardamone e Inglese definisce i percorsi formativi delle professioni d’aiuto e segnala i confini da valicare quando scenari di molteplici altrove entrano in contatto. Tale convivenza porta con sé naturale ambivalenza, intesa nel senso profondo e fondante della relazionalità umana, ed una necessità di contrattazione tra i vari contesti attivati (come reti di significati che raccolgono l’incontro fra operatori ed ospiti).


È come se si trattasse di una “cascata” di parole-chiave, le une che conducono alle altre e allo stesso tempo le precedono, che fondano la “mentalità accogliente” transitiva e reciproca, in cui è ospite sia colui che accoglie sia colui che viene ospitato.


Così come, in un altro possibile uso reciproco di termini, è esiliato chiunque sia umano, in quanto archetipicamente portatore di una rescissione che può assumere, nelle forme concrete in cui si manifesta, differenti sembianze (si pensi all’estremo esilio di Primo Levi, traumaticamente estraneo ed esiliato dalla Comunità Umana di appartenenza, divenuta un Reale Primordiale persecutorio e privo di senso).


È propriamente qui che si ritrova il Trauma, evento fondante la fuga ed il bisogno di essere accolti e fonte di sofferenza mentale sempre più spesso connotata culturalmente.


I rifugiati che chiedono asilo hanno subíto un “trauma estremo”, concettualizzazione che Martín Baró ha inteso riferendosi a quel tipo di traumatizzazione specifica che vede come oggetto, in contesti socio-politici altamente patologici, la distruzione delle strutture psichiche degli individui ed il loro senso di appartenenza alla società, perpetrato (e qui sta l’estrema intollerabilità dell’evento) dallo stesso sistema umano di appartenenza.


Sono questi solo alcuni dei nodi della mappa concettuale per il lessico dell’accoglienza, che potrebbe diventare strumento di lavoro nella realizzazione dell’integrazione e dell’accoglienza stessa, astenendosi però dall’assurgere a dogma, nello stesso modo in cui il nucleo della crudeltà umana si è volto, nella storia dei popoli, paradigmatico e assoluto.


Il lavoro di Calabrese e Profita verte sulle conseguenze intergenerazionali del trauma estremo poco sopra accennato, esso nasce dalle riflessioni fatte intorno ai risultati di una ricerca condotta, attraverso interviste libere, parallelamente su ex-deportati nei campi di concentramento e sterminio nazisti e su alcuni figli dei sopravvissuti, tutti appartenenti alla comunità ebraica di Roma. L’indagine si è posta come obiettivo lo studio delle modalità attraverso cui la soggettività dell’individuo viene influenzata dalla vita psichica delle generazioni che lo hanno preceduto e del gruppo culturale di appartenenza. Per fare ciò, si è preso in oggetto il fenomeno della Shoah che, così come altri fenomeni storico-sociali, J. Le Roy ha definito trauma culturale, in quanto ha determinato uno sradicamento dei legami collettivi (ossia tra gli individui e i loro gruppi di appartenenza) tale da non consentire al sistema culturale di riorganizzarsi per fronteggiare il disordine che ne mette a rischio la sopravvivenza stessa. È emerso che i figli dei sopravvissuti della Shoah hanno strutturato la propria identità sulla base di un qualcosa che non appartiene a loro ma di cui sentono il peso, su un qualcosa che viene richiesto, implicitamente, dai loro genitori. Infatti, quello che perpetua il circolo del trauma collettivo è proprio la trasmissione transgenerazionale di quelli che vengono definiti “compiti” a lungo termine: proprio per l’impossibilità di elaborare il loro lutto e di dar un senso a questa impensabile esperienza, i sopravvissuti hanno affidato ai propri figli il compito di trovare una soluzione ai traumi subiti. Le ansie, le paure, gli incubi dei sopravvissuti vengono trasmessi ai discendenti: le angosce e le paure di questi ultimi riflettono quelle dei loro genitori. I loro sogni, i loro fantasmi, le loro missioni sono il tentativo di integrazione, all’interno della propria vita psichica, dei residui degli avvenimenti non simbolizzati dalla generazione precedente. Questo processo conduce a ciò che viene definito processo traumatico, che è risultante dal fatto che l’individuo, carente del contenimento e della salvaguardia del Sé, degli involucri culturali e della conseguente mancanza di punti di riferimento stabili, dovrà fronteggiare in prima persona il non- pensabile e il non-dicibile della storia del proprio gruppo di appartenenza. In particolare, in questo senso, ciascun ebreo diviene membro di una catena intergenerazionale attraverso cui viene trasmessa la continuità della vita psichica del suo popolo alle generazioni successive.


A conclusione del percorso affrontato in questi scritti si pone il lavoro di recensione del testo di Simona Argentieri, “A qualcuno piace uguale”, che si delinea solo in apparenza all’interno di un’ottica più circoscritta rispetto alla lente della visione macrosociale attraverso cui si è guardato finora.


Affrontando il tema delle omosessualità Argentieri ci pone infatti acutamente di fronte alla fatica dell’incontro con l’altro, elusa addentrandosi nel rifugio narcisistico dello stare con l’eguale (dello stesso sesso o, qui aggiungiamo alla luce di quanto detto finora, della stessa etnia, lingua, religione; purché sia uguale).


È nella conflittualità identitaria interna la radice della difficoltà ad accettare il diverso, l’altro, su cui invece è proiettata l’intolleranza verso se stessi, verso la propria incapacità di superamento dello svincolo edipico per raggiungere il traguardo evolutivo della triangolazione.


L’altro è non-uguale a noi e non ci può fornire l’illusione del mantenimento del paradiso perduto dell’onnipotenza infantile. L’altro è profugo quanto sono tali le parti rifiutate di noi stessi che fatichiamo ad accogliere in quanto rappresentazioni di un mondo interno che risuona così cristallino nella realtà esterna dell’altro con cui veniamo pericolosamente a contatto, ombra minacciosa della rinuncia narcisistica.


Buona lettura


Milena Meistro





 Salvatore Inglese*



 4 Way Street: le matrici epocali dell’Etnopsichiatria


 



RIASSUNTO


Le migrazioni internazionali e il processo di globalizzazione sono gli eventi socioculturali generali che influenzano l’epidemiologia dei disturbi mentali nel mondo contemporaneo. Kraepelin, Freud, Devereux e Nathan hanno affrontato il possibile rapporto tra cultura e psicopatologia. Le loro teorie ispirano l’etnopsichiatria e la psichiatria culturale, discipline moderne e innovative che possono spiegare i fenomeni della nuova psicopatologia “ricombinante”. Questa è il prodotto specifico del mondo attuale e richiede la costruzione di dispositivi clinici che sappiano esplorare i disturbi mentali e i mondi culturali dei pazienti (uso delle lingue originarie; mediatori culturali). In questa prospettiva, è necessario risolvere l’enigma delle CBS che possono diventare un asse portante delle future classificazioni nosografiche.


 


PAROLE CHIAVE: Etnopsichiatria, Sindromi culturalmente ordinate, Psicopatologia ricombinante






* Psichiatra. FAR/ERG (FAR/Ethnopsychiatry Research Group)






Manuela Calabrese*, Gabriele Profita**



La trasmissione del trauma: il caso dei sopravvissuti della Shoah





RIASSUNTO


Il presente lavoro si è posto come obiettivo quello d’indagare i modi attraverso cui la soggettività di un individuo viene influenzata e in parte determinata dalla vita psichica delle generazioni che lo hanno preceduto e dalla comunità o dal gruppo culturale di appartenenza. In particolare, si è cercato di comprendere in che modo traumi di massa e del non-senso, come la Shoah, possano continuare ad agire sulle generazioni successive segnandole profondamente: ai figli dei sopravvissuti a questo tragico evento è stato, infatti, affidato il compito di trovare una soluzione ai traumi irrisolti e non elaborati dei loro genitori e del popolo ebraico in generale, divenendo in tal modo i contenitori del vissuto emotivo che ha strutturato l’esperienza dei loro predecessori. Sono state condotte delle interviste in profondità con alcuni ex-deportati e con alcuni figli di sopravvissuti, appartenenti alla comunità ebraica di Roma, dalle quali è emerso che la seconda generazione è cresciuta all’ombra dei conflitti psichici scaturiti da questo traumatico evento. I discendenti dei sopravvissuti hanno strutturato la propria identità sulla base di quanto richiesto, in maniera più o meno implicita, dai loro genitori. Le ansie, le paure e gli incubi dei sopravvissuti, non solo sono state trasmesse ai discendenti, ma continuano a perpetuarsi nel mondo interno di quest’ultimi senza che essi siano in grado di liberarsene: «Ho assorbito le paure di mia madre. Nella mia generazione quando facciamo un incubo scappiamo dalle SS…». La Shoah ha investito ogni aspetto della loro esistenza, costringendoli a comprendere e ridare un senso a ciò che è stato, una sorta di “missione” imposta tacitamente e dalla quale risulta impossibile sottrarsi: «Non si può ereditare questa storia e non fare niente, per me è una cosa su cui non si deve neanche discutere». Così i figli dei sopravvissuti diventano anello di una catena intergenerazionale in grado di garantire la continuità della vita psichica del popolo ebraico.


 


PAROLE CHIAVE: Shoah, Trauma, Trasmissione psichica intergenerazionale






Dipartimento di Psicologia Università di Palermo




* Dipartimento di Psicologia Università di Palermo






Chiara Matteini*, Giuseppe Cardamone**, Salvatore Inlgese***



Con l’altro, in poche parole: un lessico per l’accoglienza a venire




RIASSUNTO


Questo contributo intende costituire il prologo di una riflessione aperta sui fenomeni dell'accoglienza delle persone rifugiate. Proponendo un lessico provvisorio di parole-chiave che cominci ad integrare le multiformi prospettive teoriche attivate dal lavoro tecnico, sociale e clinico con l'alterità culturale, intendiamo sottolineare la necessità di costruire strumenti metodologici  condivisi destinati ai dispositivi che operano nella multiculturalità.


 


PAROLE-CHIAVE


Lessico, accoglienza, alterità


 






* Psicologa. Candidata Istituto Nazionale Training Società Psicoanalitica Italiana, Roma.




** Psichiatra e psicoterapeuta. Direttore Dipartimento Salute Mentale Azienda U.S.L. 9 Grosseto




*** Psichiatra – FAR/ERG, Mogador.








Il Vaso di Pandora, Dialoghi in psichiatria e scienze umane
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