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VOLUME XVIII
ANNO 2010
N 3
Indice
IL VASO DI PANDORA
Dialoghi in psichiatria e scienze umane - Vol. XVIII, N°3, 2010


Sommario
Editoriale
Pasquale Pisseri
pag. 7

TRA PRASSI E TEORIA
Viaggio nella memoria: esperienza di co-conduzione integrata di un
gruppo di pazienti anziani affetti da schizofrenia tipo residuo
Roberta Auditore, Pasquale Caponnetto, Marialuisa Grech, Giuliano Giorgio
pag. 17

APPUNTI DI VIAGGIO
Risvegli traumatici e terapeutici. “La Tempesta”
Sabino Nanni
pag. 37

QUATTRO PASSI PER STRADA

Come vi stavo dicendo
La Tecnica Psicoanalitica. La posizione di Roberto Speziale-Bagliacca
Trailer a cura di Carmelo Conforto
pag. 63

Divagazioni intorno a
“Tanto scappo lo stesso – Romanzo di una matta” - di Alice Banfi
Paolo Franceso Peloso

pag. 87

Storie e ritratti di studenti. Relazioni, narrazioni e tutoring di adolescenti nella
scuola - Di Massimo Barbieri
Valeria Zirulia
pag. 91

Attaccamenti traumatici: i Modelli Operativi Interni Dissociati - di Cesare Albasi
Alessandro Migliore
pag. 93
Editoriale


Questo numero include contributi di notevole spessore teorico con importanti ricadute operative.
Si apre con un omaggio all'amico Federico Pastore che da poco ci ha lasciati.
Segue il contributo di Auditore, Caponnetto e Grech che espone l'esperienza della C.T. “Villa Chiara” e degli interventi psicogeriatrici che vi si attuano a favore di pazienti affetti da schizofrenia residuale.
Una valutazione effettuata anche con l'aiuto di scale ha evidenziato una accentuata compromissione della capacità di comunicazione, con conseguente isolamento che peggiora l'isolamento affettivo e il disorientamento. Pertanto, si è ritenuto utile attivare un intervento di psicoterapia di gruppo a indirizzo eclettico (Gestaltico e Relazionale-Eriksoniano), con buoni risultati.
Il contributo appare importante perché pone l'accento su un aspetto spesso trascurato: il non raro sovrapporsi, nelle fasi più avanzate dei disturbi psicotici, di aspetti involutivi in parte psicorganici ma in parte legati a difetti della relazionalità; il sovrapporsi di aspetti psicopatologici diversi richiede un approccio articolato.
Nanni ci parla del problema della violenza esplosiva e della dipendenza da sostanze così spesso ad essa collegata. Egli parte da un caso clinico, la cui lettura è illuminata da riflessioni su due celebri “tempeste”: quella figurativa di Giorgione e quella di Shakespeare.
Quanto alla prima, sottolinea il contrasto fra lo sfondo cupo e minaccioso e il primo piano occupato da un gruppo familiare armonioso e coeso, verosimilmente capace di tutelare il bambino che ne fa parte dalla tempesta in arrivo: intesa, questa, come bufera ma anche come metafora di “tempo”, nel suo fluire destinato a porre fine
alla quieta immobilità della “triade narcissique”, a una illusione di atemporalità.
Lo studio prosegue con una breve sintesi della trama della Tempesta di Shakespeare, che offre occasione di riflessione sui problemi della dipendenza, della idealizzazione, del sonno della coscienza: tematica questa che rileva non solo in quest'opera ma anche nell'Amleto, nel Lear, nell'Otello. Essa mi richiama alla mente un'opera quasi contemporanea: ”La vida es sueno” di Calderon de la Barca, col personaggio di Sigismondo che, dopo un lungo forzato ritiro dal mondo reale (definibile in qualche modo come sonno della coscienza), vi rientra credendolo un sogno.
Nanni poi evidenzia l'emergere, nell'opera shakespeariana, di altre tematiche: l'identificazione con l'aggressore (Jago, King John, Riccardo III), il sé grandioso patologico (Riccardo II, Macbeth)
È difficile aggiungere qualcosa alla sua analisi; si può solo confermare quanto scrive sulla valenza riparativa della “tempesta” ricordando il passo in cui essa è espressa così chiaramente: (7, 158 ): “a cinque tese il tuo padre è sepolto. Coralli gli son fatte le ossa; son perle gli occhi del suo volto; niente in lui che perire possa, che il mare non lo vada convertendo in qualcosa di ricco e stupendo”. Se per Freud, che cita questo passo, esso mostra come l'eliminazione del genitore si esprima per tramiti sostitutivi, ai nostri occhi risalta proprio l'aspetto riparativo: queste immagini compongono infatti un quadro di forte valenza estetica, che ci riporta alle riflessioni della scuola kleiniana sulla valenza riparativa dell'arte. Il corpo del padre defunto, lungi dal corrompersi e scomparire definitivamente, diviene infatti qualcosa di splendido e incorruttibile. Possiamo tuttavia chiederci se di vera riparazione si tratti, o di operazione che lascia troppo spazio all'immaginario, intrisa di quella idealizzazione che – ci ricorda ancora Nanni – si rivela inevitabilmente fragile e illusoria.
Nel Macbeth si impone in tutta la sua pregnanza il problema della violenza e della colpa; è interessante rilevare come Shakespeare delinei con grande intuizione il rapporto fra queste tragiche dimensioni - riprese più avanti da Speziale - e la risposta, diremmo oggi, ossessivocompulsiva, con i suoi interminabili cerimoniali. Ciò, prima nelle parole di Macbeth: “Che mani sono queste? Ah, mi strappano gli occhi. Tutta l'acqua dell'immenso oceano di Nettuno potrà lavare questo sangue dalla mia mano? No, questa mano, piuttosto, arrosserà gli innumerevoli mari facendo del loro verde un immenso grumo vermiglio”. E poi, in quelle celebri di Lady Macbeth; “Ma insomma, queste mani non diventeranno mai pulite? ....Qui c'è ancora odore di sangue: tutti i profumi dell'Arabia non basteranno a profumare questa piccola mano”.
Conforto ci offre una presentazione particolarmente ricca e pregnante di un volume di Speziale-Bagliacca - “Come vi stavo dicendo” - con modalità che vanno ben al di là di una recensione. L'approccio è colloquiale, grazie al continuo interpolarsi di riflessioni dei due Autori, e prende a un certo momento il carattere di una tavola rotonda, con l'intervento di personaggi quali Franco Borgogno, Jan De Villier, Nino Ferro, Franca Olivetti Manoukian, Almatea Kluzer Usuelli.
Vengono trattate asistematicamente e in forma colloquiale topiche fondamentali: il rapporto fra le prescrizioni della tecnica e i margini di libertà e spontaneità del terapeuta; i movimenti emotivi dell'analista, i rischi del suo irrigidirsi in un ruolo “neutrale” che può alimentare vissuti persecutori; il senso dell'espressione “curare con la psicoanalisi”; l'importanza dello svilupparsi nel paziente della capacità di autoosservazione, di reverie, di presa di contatto con il non verbale, di un mutato modo di pensare.
Seguono notazioni metapsicologiche, come il rapporto o il contrasto fra teoria delle relazioni oggettuali e teoria della pulsioni, o fra il concetto winnicottiano di holding e quello bioniano di contenimento; ma presto gli Autori tornano sul terreno operativo, parlando della nuova visione del transfert-controtransfert con rinnovata attenzione
alla personalità del terapeuta e alle sue “reazioni viscerali” e, reciprocamente, all'esigenza di coinvolgere l'Io osservante del paziente nell'esame di una reazione del terapeuta. Ciò riduce, mi sembra, la asimmetria tradizionalmente presente fra paziente e terapeuta nella situazione analitica e, in realtà, in ogni intervento medico. Potrebbe comportare il rischio di una “combutta” se l'analista non facesse i conti col proprio bisogno di esser valorizzato e di evitare la frustrazione.
Trattando della reverie, si cita Bion: “la reverie è lo stato mentale aperto a tutti gli oggetti provenienti dall'oggetto amato”; dunque, non solo e non tanto al significato letterale delle parole ma anche alla dimensione analogica, come tono e volume di voce; tema ripreso più avanti da Speziale.
Interviene quindi Jean De Villier riformulando alcuni contenuti già espressi in parte da Speziale: l'esigenza di non infantilizzare il paziente riducendolo a “fornitore di materiale”, quella di non saturare prematuramente l'interpretazione, quella di seguire una strategia che tenga conto delle priorità.
Borgogno evidenzia la differenza fra il rapporto puramente interno con un oggetto e il suo incontro nel rapporto. Torna sull'importanza delle emozioni e della loro condivisione, rifacendosi a Paula Heimann che definiva l'interpretazione come una musica “sonata dalle due persone nella stanza analitica”. In analoga ottica, Speziale aggiunge che, anziché offrire al pz. un silenzio che potrebbe essere frustrante, può esser meglio esplicitargli il proprio bisogno di un momento di riflessione.
Sul tema dell'esistenza di diverse psicoanalisi posto da Nino Ferro, Speziale mette in guardia contro le intellettualizzazioni, affermando che uno scontro fra dottrine può essere una opportunità.
Offre un'altra prospettiva Franca Olivetti Manoukian, esperta di formazione e organizzazione nei Servizi, dove a suo avviso si sta verificando una perdita di entusiasmo con ricorso a tecnicismi ripetitivi.
Segue un breve excursus storico di Jan de Villier su alcune possibili ingenuità dei primi analisti e sul loro oscillare fra certe durezze di Freud e il maternage spinto di Ferenczi; Speziale invoca un approccio più equilibrato.
Almatea Kluzer Usuelli si sofferma sulla posizione schizo-paranoide come modo di pensare semplificato, che evita le sofferenze della ambivalenza e dell'incertezza: esso può riapparire in situazioni traumatiche. Per passare dalla colpa persecutoria alla posizione “tragica” (richiamo questo al concetto di fato della tragedia attica)
occorre una trasformazione maturativa profonda. Speziale concorda, ricordando che la regressione schizo-paranoide permette di orientarsi più facilmente, di identificare “buoni e cattivi”, “amici e nemici” (potremmo notare che questo meccanismo si verifica anche nella psicologia normale, peraltro contenuto in una parentesi ludica ma
tuttavia spesso affettivamente carica, come nella fruizione di tanti film o telefilm in cui la regressione è favorita dall’oscurità e dalla posizione di riposo).
Speziale ritiene che la logica che trascende la colpa – persecuzione giungendo a una visione tragica sia comunque precaria. Ai suoi occhi, quello della responsabilità tragica è un punto di vista alto, che ci consente di vedere quanto poco spazio occupino i nostri piedi.
Riconosce il suo debito nei confronti di Nietzsche per quanto riguarda la dimensione del tragico, ma tuttavia sente il suo superuomo soffuso di maniacalità. A questo proposito si potrebbe obbiettare che la concezione nietzschiana non nega il dolore, il limite, l'insoddisfazione, poiché così si esprime ne “La gaia scienza”: “pochi uomini in generale hanno fede in sé stessi... tutto quello che essi fanno di buono, di valente è in primo luogo un argomento contro lo scettico che dimora in essi... sono i grandi insoddisfatti di sé”.
Il lavoro di Conforto dunque unisce in sé i valori di una grande recensione, di una intervista, di una tavola rotonda, Si tratta di opera di grande spessore in cui il rigore teorico è base di indicazioni di valore operativo e anche didattico.
Bella la recensione di Peloso, modestamente definita “divagazioni” sul romanzo “Tanto scappo lo stesso” di Alice Banfi. Peloso ne trae spunti sulla ambiguità dell'ambiente di cui si parla, l'SPDC, che risponde a bisogni, potremmo dire, medici e meta-medici; sul rapporto affettivo ambivalente fra tale ambiente e il paziente; sulla inadeguatezza di risposte stereotipate offerte in quella sede a bisogni assai variegati e mutevoli; sul problema della contenzione. Ma al di là di questi pur forti contenuti, il volume è importante in quanto è una delle rare occasioni in cui il paziente ha davvero la parola: una parola che non si ferma ai suoi problemi strettamente individuali ma introduce, volutamente o no, a una riflessione più ampia.
Segue la recensione di Zirulia al volume di Massimo Barbieri su storie di adolescenti nella scuola, riportate con modalità a metà strada fra il racconto e il report scientifico.
Alessandro Migliore recensisce un testo di Albasi su quelli che, rifacendosi a Bowlby ma con attenzione a una ampia serie di contributi psicoanalitici classici, chiama “attaccamenti traumatici”: quelli in cui la figura di attaccamento richiede implicitamente di rinunciare a sé stessi.
Questa esperienza lascia tracce permanenti, con difficoltà di mentalizzazione che lascia spazio agli agiti. Seguono riflessioni terapeutiche.
Il presente numero pertanto si inserisce pienamente nel filone della Rivista, da sempre attenta alla dimensione umanistica delle discipline psichiatriche. È sempre vivo l'insegnamento di Jaspers che raccomandava allo psichiatra di mantenersi aperto ai contributi dell'arte, della letteratura, della filosofia.

Il Vaso di Pandora, Dialoghi in psichiatria e scienze umane
Edizioni La Redancia -
vaso.pandora@redancia.it
Iscrizione al Tribunale di Savona n. 418/93 - ISSN 1828-3748